lunedì 17 febbraio 2014

manzo nel coccio con salsa al pain d'epices



Ricetta fantastica copiata pari pari da un ricettario meraviglioso: Ricette & Segreti dei Monasteri, di Laurence e Gilles Laurendon, Guido Tommasi Editore. 
I monasteri presi in esame sono, ovviamente, francesi, ma e' lecito pensare che molti dei cenni storici, degli aneddoti e delle regole descritte nel bel libro, siano comuni a molti cenobi in Europa e forse nel mondo.
Spesso gli autori fanno riferimento alla Regola Benedettina, quella che solitamente si riassume con il famoso motto Ora et Labora, cioe' Prega e Lavora, e che San Benedetto da Norcia detto' nel 534. Pare che il santo nel redigere la sua regola, facesse tesoro di una sua breve esperienza di vita eremitica che gli fece capire quanto le debolezze umane possano allontanare anche il piu' spirituale degli uomini dalla contemplazione di Dio. Penso' cosi' di combattere l'accidia, che si puo' definire come una certa noia dell'anima, disponendo che i monaci che seguivano la sua regola fossero costantemente occupati e che impiegassero il tempo lasciato libero dalla preghiera, comunitaria o individuale, in svariate attivita' di tipo pratico, la principale  delle quali era, in molti monasteri, la copiatura dei testi sacri.


" Il monastero poi - aggiunge San Benedetto - dev'essere organizzato in modo che al suo interno si trovi tutto l'occorrente, ossia l'acqua, il mulino, l'orto e i vari laboratori, per togliere ai monaci ogni necessita' di girellare fuori, il che non giova affatto alle loro anime." 
Un piccolo universo autosufficiente, insomma, e chi segue da un po' di tempo questo blog, chi mi conosce anche poco poco sa quanto questo argomento mi affascini e mi stia a cuore.
E chi cucina nei monasteri? Tutti! Nessuno e' dispensato dal servizio di cucina, a meno che sia malato o debba assolvere ad un compito di maggiore importanza. Si seguono turni settimanali e anche nel caso in cui qualcuno dei frati sia maggiormente dotato, perche' magari era un cuoco professionista nella sua vita secolare, non e' minimamente privilegiato, non diventa automaticamente il frate cuoco del monastero e questo vale, sempre secondo la Regola Benedettina, per tutti gli altri mestieri utili allo svolgimento della vita quotidiana dei monaci. Nonostante cio', nelle cucine dei monasteri, nel corso dei secoli, si e' andato formando un patrimonio culinario ricchissimo. Pensiamo solo a tutti i formaggi, i vini, i distillati, ma anche i dolci e i biscotti nati dalla creativita' degli uomini e delle donne che hanno vissuto in questi luoghi e che hanno creato una cucina che rispecchia il loro stile di vita: semplice, ma anche gustosa ed equilibrata e che coniuga aspetti sorprendentemente attuali, come l'attenzione alla qualita' degli ingredienti, che devono essere sempre freschi e di stagione, coltivati seguendo il piu' possibile i ritmi naturali e preparati poi senza ricorrere a troppi artifici. Con la loro esperienza e la loro straordinaria conoscenza delle piante medicinali, sono stati tra i primi ad abbinare  ortaggi e salute. Cucinare diventa  un esercizio spirituale, nutrire il corpo e' anche nutrire l'anima. I frati cantano mentre impastano il pane, la cucina diventa dono di se', ed al tempo stesso trasmissione di un sapere antico, di una "conoscenza intrisa di umile saggezza", come dicono gli autori di questo libro.

Questa ricetta e' una di quelle che mi hanno colpito maggiormente: l'idea di aggiungere dei sottaceti ad uno stufato di carne non mi avrebbe mai sfiorata e ovviamente mi ha molto incuriosito. E' preparata dai monaci della Champagne e per legare la salsa utilizza il pain d'epices fatto con farina di sola segale integrale. Di solito quando realizzo per la prima volta una ricetta presa da un libro, cerco di riprodurla fedelmente e solo in un secondo tempo, nel caso in cui meriti di essere replicata, mi discosto dall'originale per apportare qualche piccola modifica che me la faccia sentire piu' mia. Questa volta, invece, ho dovuto fin da subito fare un paio di varianti rispetto all'originale, dato che, nonostante il pain d'epices sia molto popolare e facilmente reperibile qui in Olanda e pur essendocene in commercio moltissimi tipi diversi, quello di sola segale pare non esista. Pero' si trova il pane di segale integrale, quello nero nero, umido e pesante e che io naturalmente amo molto. Cosi' ho pensato di usare quello, dandogli un gusto piu' simile a quello che suppongo dovrebbe avere un pan di spezie di segale, unendo un cucchiaino di misto spezie e un cucchiaio di miele. Inoltre ho aggiunto un po' di vino alla marinata della carne, in modo da avere una maggior quantita' di liquido in cui cuocerla rispetto a quello che avrei ottenuto con il solo olio previsto dalla ricetta. Le verdure della marinatura non le ho, ovviamente, buttate, ma le ho tritate e utilizzate per profumare la terrina di carne che ho pubblicato qualche giorno fa. Nel caso in cui vi andasse di provarla, vi consiglio caldamente di non omettere la cottura in forno nella pentola di terracotta: il profumo che si spande per tutta la casa e' davvero paradisiaco e la carne cotta in questo modo e' la piu' tenera e saporita che io abbia mai assaggiato in vita mia. Questo genere di cotture veniva utilizzato per rendere gradevoli anche le carni piu' coriacee: solitamente si aveva a disposizione carne di animali abbastanza anziani, dato che i manzi erano utili nei lavori dei campi e le pecore si tosavano per la lana e quindi venivano consumati quando non erano piu' produttivi. Solo il maiale si poteva consumare anche da giovane. 

Manzo nel coccio
con salsa al pain d'epices



Ingredienti per 4
1,2 kg di carne di manzo ( girello o spalla )
6 cucchiai di olio extravergine d'oliva
3 cipolle affettate
1 gambo di sedano a tocchetti
1 carota a rondelle
1 foglia di alloro
1 rametto  di timo
1 spicchio d'aglio schiacciato
300 ml di vino bianco secco
5 cetriolini tagliati a rondelle
5 capperi dissalati
2 fette di pane di segale integrale
1 cucchiaino di misto spezie
1 cucchiaio di miele d'acacia

La sera prima, tagliare la carne a tocchetti di circa 2 cm e metterla in una terrina con 5 cucchiai di olio extravergine, due delle tre cipolle affettate, il sedano a tocchetti, la carota a rondelle, l'alloro, il timo e 150 ml di vino bianco. Mescolate bene, coprite e lasciate al fresco, mescolando un paio di volte. Il giorno seguente, preriscaldate il forno a 180°C. Togliete la carne dalla marinata, che filtrerete e terrete da parte, e asciugateli per bene.
In una padella, scaldate il rimanente cucchiaio d'olio e fateci appassire la cipolla rimasta e lo spicchio d'aglio. Unite anche i pezzi di carne e dorateli bene su tutti i lati. Salate e pepate.
Tresferite il tutto in una pentola di terracotta che possa andare in forno e bagnate con la marinata flitrata. Coprite il tegame e infornate per un'ora.
Aggiungete allora i cetriolini, i capperi e il rimanente vino bianco e proseguite la cottura per un'altra ora. Sfornate e togliete i pezzi di carne, tenendoli in caldo. Filtrate il fondo di cottura e legatela con il pane di segale sbriciolato molto finemente. Aggiungete anche le spezie e il miele e fate ridurre la salsa a fuoco dolce. Servire lo stufato nel coccio ben caldo accompagnato con la salsa. Se volete decorate con qualche fettina di cetriolino e dei fiori di cappero.




14 commenti:

  1. Signora mia io adoro leggere i tuoi post! Sì perché sono intrisi di passione, cultura e saggezza.
    Anche a me ha sempre affascinato la cucina dei monasteri, anche perché è curioso notare come in alcuni di essi si sia sviluppata una cucina tutt'altro che semplice, pensata per i pellegrini e non per i frati stessi, che invece erano votati a una vita semplice e fatta di rinunce. A proposito di monasteri e pellegrini, ti consiglio un libro, che non ho ancora letto completamente ma che di tanto in tanto sfoglio e consulto per qualche ricetta: "La cucina dei pellegrini. Da Compostella a Roma" di Marina Cepeda Fuentes.
    Quanto allo stufato con l'aggiunta di sottaceti, ma sai che mi hai fatto venire che mia mamma (e mia nonna prima di lei) fa uno stufato con la giardiniera? Sti piemontesi e sti francesi hanno più cose in comune di quanto si pensi :D Scherzi a parte, ora devo capire dove avesse preso la ricetta mia nonna.
    Quand'è che mi inviti a mangiare questa meraviglia? :)
    Un bacione

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  2. Infatti i monaci cluniacensi si specializzarono proprio nel dare ospitalita' ai pellegrini che si recavano a Compostela e con l'andare del tempo iniziarono a differenziare i servizi resi, cibo compreso, a seconda del rango dei loro ospiti, dato che spesso anche sovrani e rappresentanti del clero compivano il pellegrinaggio. Grazie per la dritta del libro della Fuentes, mi interessa molto....e mi interessa anche la ricetta della tua nonna!! Tu te lo scordi che io ti faccia mangiare quello che cucino io....mi si intorcinano le budella al solo pensiero...scusami, ma c'e' un prezzo da pagare quando si e' bravi come te!

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  3. non amo la carne ma questa ricetta mi intriga molto per svariati motivi...: il pain d'epice (che adoro) , il libro citato (che è nella mia wish list da tempo) e l'ottima scusa per acquistare una di quelle pentole in ghisa della staub (verò che va bene lo stesso anche se non è di coccio???) nella quale vedrei bene questa ricetta...ho stampato il tuo post (son donna antica io...) per leggermela bene con calma magari stasera , nel letto con tisana e quadernetto "to do" nel quale "pinzare" il tuo manzo del monastero....favoloso!!!!!

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    1. Io invece non potrei vivere senza, ma tendo a non abusarne e la consumo non piu' di tre volte a settimana. La pentola in ghisa va benissimo anche per le cotture in forno e meglio della staub non ce n'e'! Grazie del commento dei commenti laroby!! Un abbraccione...e continua a sognare il nostro bistro', che si sa mai che il sogno si avveri....

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    2. se non continuassi a credere nei miei sogni non ce la potrei fare!!! :-) quindi bistrot sognato e risognato...vuoi mai?? baciiii

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  4. dio come mi piacciono queste cose!
    cerco subito questi due bellissimi libri.
    amo andare per monasteri. camaldoli è una mia meta frequente, ce l'ho vicino, vado e torno in giornata.
    ma amo molto anche la verna e sant'antimo.
    il senso di pace, di serenità e di assoluto che trasmettono questi luoghi è unico.
    la cucina dei monaci ne è la testimonianza.
    Quando verrai a Bologna ti porterò a visitare il Cenobio di San Vittore, uno dei luoghi più antichi e suggestivi della mia città.
    La ricetta è strepitosa.
    Baci

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    1. Ho sempre desiderato visitare Camaldoli e La Verna ...ci andiamo insieme? Anch'io provo le tue stesse sensazioni quando visito dei monasteri e se poi ho la fortuna di assistere ad una messa cantata come quelle che fanno a Chiaravalle, per dire, mi sciolgo in lacrime di commozione....Bacioni anche a te Sabri e grazie!!

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  5. ecco, adesso ho aggiunto anche questo libro alla mia wish list, lunga un km... Ma Guido Tommasi dovrebbe farmi un buono sconto ogni tanto, son tutti suoi ultimamente sti libri....
    Mi piace, mi piace tanto tutto, il piatto e il sottaceto e la variazione per speziare il pane ma soprattutto mi è piaciuta la lettura antecedente, a volte penso di avere sbagliato vita, non sono religiosa ma i monasteri sono sffascinanti al di là del credo, e luoghi raccolti di riflessione dove le problematiche di tutti i giorni potevano essere condivise e quasi disciolte nel comune.... monaca mancata mi scopro

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    1. Grandissimo editore Tommasi, adoro le sue pubblicazioni. I sottaceti in questa ricetta, fanno davvero la differenza eppure sono una presenza discreta, perfettamente in armonia con il resto degli ingredienti e quella salsa e' una delle cose piu' buone che io abbia mai assaggiato. Io mi considero cattolica, anche se non praticante, e sono andata a scuola dalle suore fino alla terza superiore e ti diro' che quando vedevo la loro serenita' e la quanto meno apparente semplicita' delle loro vite in confronto ai problemi che si dovevano affrontare quotidianamente nel "mondo di fuori", il pensiero di fermarmi al riparo di quelle mura mi ha sfiorato...purtroppo non ho mai sentito la chiamata....saro' una monaca mancata anch'io?

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  6. Ecco perchè mi piacciono tanto i monasteri. Ho un ricordo limpidissimo di un mio soggiorno in un convento delle Suore Orsoline a Triuggio, ai tempi dell'ultimo anno delle superiori. Una suora in cucina che aveva un nome tremendo (Cleofe) ma cucinava come un angelo. In convento facevano TUTTO, pure il pane ed i biscotti per la colazione.
    All'epoca ero sottopeso (NON RIDERE!!! E' VERO!) e Suor Cleofe mi rimpinzava di ogni ben-di-Dio.
    Questo stufato mi ispira tantissimo per cottura, sapori e .... fame!!! (sono in pausa pranzo con il cestino/dieta).
    Brava Roberta, brava davvero!
    Nora

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    1. Tesora, parli con una che a 23 anni pesava 46 chili e portava la taglia 36, perche' non dovrei crederti?....ora sembro quella che se l'e' mangiata la ragazzina che ero allora....che amarezza....Grazie Nora carissima, grazie davvero....

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  7. L'ho comprato anche io quel libro! Davvero affascinante!
    La tranquillità e la pace della vita nei monasteri è controcorrente rispetto a ciò che viviamo ogni giorno. Sarà per questo che ogni tanto c'è il bisogno di visitarne qualcuno e di respirare un po' di quell'aria!
    Quando proverò questa ricetta farò tesoro della tua aggiunta di vino alla marinatura, e anche se ho comprato recentemente una splendida pentola di ghisa non rinuncio al coccio, che qui a Genova è una vera tradizione e le pentole ce le tramandiamo addirittura da nonna a figlia a nipote!
    Un abbraccio

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    1. Si' ci vuole decisamente il vino nella marinatura: io all'inizio mi sono fidata della ricetta e non l'ho messo, ma quando, dopo diverse ore, ho visto che la carne restava asciutta, l'ho aggiunto e credo di aver fatto bene. Beata te che hai le pentole della nonna! A dire la verita' anche le mie sono della nonna, solo che la nonna in questione non era la mia....son quelle che ho trovato nella casina francese!!

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  8. Io adoro gli stufati e pure i monasteri con i loro segreti di luce ed ombra e ti ringrazio per questa ricetta!!
    A prestoo!!

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