giovedì 29 novembre 2012

maramao perchè sei morto: capitolo III

Continua da qui...
Con un po’ di fortuna, una mano dal Cielo e tanto lavoro, il mio orto dovrebbe rifornirmi di ottimo cibo, sano e saporito, per tutto l’anno. Ne farò conserve che poi stiperò nella nostra utilissima cantina scavata nella roccia, proprio sotto la cucina, che è bella asciutta e resta fresca anche nelle più torride giornate di Agosto, mentre in inverno non scende mai sotto i 5°: in pratica un frigorifero di classe AA+ + + +... A dire la verità, avremmo  anche due piccole “caverne”, pure quelle scavate nell’arenaria, ma sono in fondo al prato: non molto comodo se una sera d’inverno ti vien voglia di due spaghetti al pomodoro...





La mia cucina! Mi piacerebbe farvela vedere, così com’è nella mia immaginazione: 35 mq di pura cucina di campagna! Rustica, niente mobili componibili,  solo quelli che ho trovato già qui e che ho decorato per svecchiarli un pò, ma mantenendo il loro carattere di sani e onesti mobili campagnoli. Un grande camino, una cucina a legna e una grande cucina a gas, un minimo di comodità concedetemelo!, con tre forni. Il lavandino sotto la finestra, una  credenza degli anni 30 con la vetrinetta nella parte superiore, piattaie e mensole a vista alle pareti e ben due isole: una e’ ricavata da una grande e alta credenza (che originariamente  era in legno scuro, tutta scolpita e modanata che sembrava un sarcofago barocco!) che ho dipinto di avorio e celeste e che fa anche da tavolo per la colazione, l’altra invece e’ un vecchissimo tavolo da sarto, unmetroperdue, dei primi del novecento, che il mio papà idraulico aveva nel suo laboratorio e che ha ancora la sua morsa attaccata ad un angolo. L’ho messo davanti alle due cucine, come piano di lavoro, e sopra ho appoggiato un grande tagliere di legno e una lastra di marmo bianco, per temprare il cioccolato o raffreddare il fondant di zucchero o il semolino per gli gnocchi o la polenta... Vicino al lavandino, così sarà più comodo sciacquare via via l’attrezzatura, una bakery station, con il mio fido Piccolo aiutante di Babbo Natale,  e una mensola, proprio sopra al calorifero, che è l’ideale per far lievitare l’impasto del pane. Mattarelli, fruste, “marise”, ciotole di ogni dimensione, rotelle tagliapasta, teglie e formine tagliabiscotti saranno tutti a portata di mano e una grande asse estraibile mi permetterà di preparare montagne di tortelli o tagliatelle in men che non si dica...Stiamo sempre sognando, giusto?.... Tutto sarà bianco, avorio, azzurro chiaro e legno naturale, per dare più luminosità all’ambiente, con qualche tocco di rosso scuro per richiamare il colore dello smalto lustro della cucina a gas. Il pavimento è in assi di pino massello, che ho personalmente posato e dipinto di bianco, ma shabby, così è molto più pratico,  come il soffitto con le rustiche travi a vista alle quali ho appeso una grande pan rack da cui pendono pentole, padelle e tegami. Davanti al camino un bellissimo tavolo in noce con le sinuose gambe in stile Queen Ann, anch'esso trovato già qui ed adorabilmente lezioso in contrasto con la rusticità del resto, puo’ comodamente ospitare 8 persone. E se il tempo lo consente, si può mangiare in terrazza, sotto la tettoia di tegole rosse sorretta dalla bella carpenteria in stile perigordino che Monsieur Malmanche ha abilmente costruito per noi utilizzando il legname dei suoi alberi...e mentre si cena, godersi il sole che tramonta dietro i tetti delle case e l’alta torre campanaria, che tra poco si illuminerà e resterà tutta la notte a vegliare sui sogni degli abitanti di Thiviers...
Fin qui, e anche molto piu’ in la’, il sogno...ma resta sempre il fatto che io l’orto, per ora, non ce l’ho! Pero’ ho i fichi...decine e decine di chili di fichi...da marmellare, sciroppare, seccare, congelare....cosa ne faro’ mai di tutti questi fichi? C’e’ anche qualche noce, ancora nel mallo, e nocciole, tante nocciole...E poi c’e l’orto di Monsieur Malmanche, il contadino che per ora si pende cura del nostro terreno, e anche i formaggi, le carni e i salumi del mercato... le farine biologiche, le mie marmellate, il latte crudo del vicino allevatore...Vediamo cosa riusciamo a mettere insieme.....







Continua......     
E questo è il terzo ed ultimo capitolo del mio post per Sabina e il suo contest
in collaborazione con
Il club delle cuoche


lunedì 26 novembre 2012

de sinaasappeltjes voor de MTC, met spruitjes en romige Gouda...ma voi chiamatele arancine



E' andata piu' o meno cosi':

Trovato!!
No!...ti prego, non farlo...non dirlo....non pensarlo nemmeno!!
Sinaasappeltjes!!
L'hai detto....non ci posso credere...TU L'HAI DETTO!!... e ad alta voce anche!!
Ma la smetti di blaterarmi nella testa! Non riesco a concentrarmi con i tuoi continui sproloqui...
Non starai facendo sul serio vero? Dimmi che non fai sul serio...dimmelo...dimmelo.. DIMMELOOOOOO
OOOOOOOOOH BASTA!! Ok, d'accordo, ho capito! Vuoi parlare...Tu vuoi parlare e quindi dobbiamo parlare. Parliamo allora: si può sapere cosa ti rode, adesso?
Non puoi farlo!
Fare cosa?
Non puoi cambiare il nome!
Non l'ho cambiato, l'ho solamente tradotto. Letteralmente. Dall'italiano all'olandese. Che male c'e'?
Ma si offenderanno....si arrabbierano...e sai cosa succede quando quelle si arrabbiano...
Quelle chi scusa?
Quelle!...le tue...bloggamiche...quelle dell'MTC!
Aaaaah... "quelle"!! no, non lo so: non mi pare di averle mai viste arrabbiate...male che vada mi mettono fuori concorso, ma non ho mai sentito che Daniela ed Alessandra siano partite in  tromba da Genova per andare ad aspettare sotto casa uno qualsiasi dei partecipanti all'MTC reo di aver stravolto una ricetta...
Ma no!!...non hai capito un tubo, come al solito!
Guarda che stai parlando con la figlia di un idraulico....(non metterti al suo livello non metterti al suo livello)....
Cos'e' stato?
Cos'e' stato cosa?
C'e' un'interferenza...
...io non sento niente...
Vabbe'....dicevo che non mi riferisco alle genovesi, parlo delle altre...
Qali altre?
Ma le altre, le altre no?!?...quelle sono ssssssss....
Eh?
Ho detto che quelle sono ssssssss
Ma la vuoi piantare di sibilarmi nell'orecchio? Mi sembri il serpente del Robin Hood della Disney
HO DETTO CHE QUELLE SONO SICULEEEEEEEEEEE
Miiiiiii....guarda che " la via di mezzo" non è la strada per Hobbiville...prendila anche tu, ogni tanto!! Mi hai trapanato un timpano! ahi!! ... E comunque: mi dici dove vuoi andare a parare una buona volta?
Ma proprio non ci arrivi da sola? Va bene, senti: tu cambi nome alle arancine, loro si offendono, si arrabbiano e ti vengono a cercare ... vestite di nero e con una pistola nella borsetta!!
Ma tu sei....Ti sei fatta un giro nella testa di Monica Vitti, ultimamente? Strano: non mi sono nemmeno accorta che non c'eri...quando sei tornata?...Ma tu sei tutta scema!!
Sì sì, fai la spiritosa...Vedrai quando te le vedrai comparire tutte alla porta di casa! Che poi a NOI non ci pensi? Cosa ne sarebbe di NOI se ti succedesse qualcosa?
.....mmmmmm....Diventeremmo il primo caso "accertato" di ectoplasma multiplo e ci dedicherebbero un'intera puntata di Voyager?
....non prendi mai niente seriamente tu!
Ma dai, vedi di calmarti, sei sempre la solita pavida. E poi sono sicura che non si arrabbierà nessuno, anzi, ci siamo anche tolti dall'impiccio del  "fimmina/masculo": noi diciamo che SINAASAPPELTJES e' neutro e tagliamo la testa al toro!
...Sempre che non la faccia TU la fine del toro....

Comunque, a voler guardare, si arrabbieranno pure le/i nordiche/ci, dato che, trovandomi sprovvista di riso originario, quello consigliato da Roberta nella ricetta che è l'oggetto della sfida di questo mese, e non essendo ancora riuscita a trovare in Olanda un riso italiano decente, ho dovuto usare il parboiled che stazionava in dispensa e che solitamente non amo molto. Mi sono sentita autorizzata ad utilizzarlo anche perchè caldamente consigliato da una palermitana doc, ma lo confesso: me ne sono pentita!! Ettelodevodi' Stefania: non so come ci riesca tu, ma il parboiled non sta insieme nemmeno con la malta e de sinaasppeltjes (col cavolo che mi faccio trascinare nella disputa fimmina vs masculo), quando li prendi a morsi, come ci si aspetta di fare con un cibo di strada, seminano chicchi di riso per ogni dove!! Se li avessimo mangiati davvero per strada e non, come abbiamo fatto, comodamente seduti a tavola  e con , altra confessione, coltello e forchetta, avremmo avuto il nostro bel daffare a liberarci dai corvi e dai gabbiani!! In ogni caso il ripieno ha compensato il fallimento del riso indisciplinato e la panatura è quanto di più croccante, asciutto e assolutamente non unto io abbia mai estratto da un pentolone di olio bollente. Da rifare sicuramente. Col riso giusto, sia chiaro!
E visto che per trarmi d'impiccio ho tradotto il nome in olandese, olandese e' pure il ripieno, anzi, metà belga e metà olandese, per essere precisi, ma ad onor del vero, il cavoletto di Bruxelles e' largamente coltivato anche nei Paesi Bassi e soprattutto proprio in Zuid Holland, la regione dove risiedo. Il gouda è il re dei formaggi olandesi, tanto da essere uno dei simboli del bel Paese che ci ospita, insieme ai mulini, ai canali, ai tulipani, alle mucche bianche e nere, alle cuffiette inamidate, agli zoccoli, ai coffee shops e alle signorine simpatiche che ti salutano cordialmente dalle loro finestre.
Ovviamente per la ricetta originale vi rimando al bellissimo, completo ed esaustivo post di Roberta del blog Pupaccena, che ha strameritato la vittoria nella scorsa edizione del contest più folle del web. Io mi limito a quella del ripieno, che già e' tanta roba, per un solo post. Anche perchè metà del vostro tempo ve lo ha portato via Quella....

Sinaasappeltjes 
 ripieni di cavoletti di Bruxelles 
ripieni di crema di Gouda


Ingredienti per 9 sinaasappeltjes
9 cavoletti di bruxelles
80 g di gouda stagionato
100 ml di panna fresca
15 g di farina
10g di burro
150 ml di latte
sale pepe e noce moscata q.b.

Mondate i cavoletti, lavateli e cuoceteli in acqua bollente per circa 5 minuti. Scolateli e metteteli a bagno in acqua e ghiaccio, affinchè mantengano il colore. Togliete le 3 o 4 foglie più esterne e tenetele da parte. Tagliate ogni cavoletto in 4 parti, senza separarle completamente, allargatele delicatamente e togliete le foglie più interne, creando una cavità che riempirete poi con la crema di gouda.
In un pentoline portate a bollore la panna e versateci 70 g di formaggio tritato finemente o tagliato a julienne. Mescolate bene per far sciogliere il gouda e togliete dal fuoco. Lasciate raffreddare completamente e poi mettete la crema in freezer per pochi minuti, affinchè si rapprenda fino a raggiungere la consistenza di uno yogurt denso o della ricotta: dovrete poterla raccogliere con un cucchiaino senza che goccioli via, per intenderci.
Aggiungete il resto del formaggio e riempite con la crema di gouda tutti i cavoletti. Riavvicinate gli spicchi e coprite  con le foglie che avevate tenuto da parte, riformando il cavoletto intero. Teneteli in frigorifero fino al momento di farcire il riso.
Preparate la besciamella, facendo tostare la farina nel burro fuso, aggiungendo il latte a filo e cuocendo finche' non si sarà sufficientemente addensata. Uniteci anche il ripieno dei cavoletti, nel caso vi fosse avanzato. Lasciate raffreddare completamente.
Per farcire il riso, versate prima un cucchiaino di besciamella, mettete il cavoletto ripieno e coprite ancora con la besciamella. Chiudete bene "de sinaasappeltjes" e procedete come per la ricetta della Robi.

Fiuuuuuu...ce l'ho fatta!! Sono arrivata in fondo al post senza pronunciare la parola arancine!!! Oh no!! Ho detto arancine!!...Oooops...l'ho ridetto!!



E con la solita faccia di bronzo, con questa ricetta partecipo all' MTChallenge del mese di Novembre 2012
del blog Menu Turistico....una volta
ma ora del blog MTChallenge, perché qualcosa è cambiato...













domenica 25 novembre 2012

Tortine di carote, con vinaigrette di carote in agrodolce e funghi


Mannaggia a 'ste foto! O meglio: mannaggia a me che non sono capace di fare le foto! Poi sono sempre costretta a farle con la luce artificiale, perchè qui in Olanda il cielo è sempre grigio. La qual cosa non turbava minimamente i grandi pittori fiamminghi, ma a me qualche problemino lo crea, diciamoci la verità. Non che con una luce migliore il risultato sarebbe tanto diverso, date le mie scarse capacità. E' che proprio non mi va di applicarmici ad imparare...non so perchè, ma la fotografia, pur ammirando le splendide immagini che vedo ovunque, non mi attizza nemmeno un po'...Peccato, perchè queste tortine sono una gioia prima per gli occhi che per il palato, con il loro bel colore arancio brillante. Invece qui sono di un giallo itterico....Vabbe', vi accontentate delle carotine in agrodolce? Spero di sì. Comunque, se le avessero fotografate Cinzia e Valentina, sarebbero state arancioni, ve lo giuro! E quindi le faccio partecipare lo stesso al contest di questo mese: Bright Orange. Splendida anche la pasta brisée, leggera e friabile, che si scioglie in bocca come una pasta sfoglia. Il segreto è lavorarla velocemente, con mano leggera e il meno possibile: giusto il tempo di far "stare insieme" tutti gli ingredienti. Due parole sul Sauternes, il vino che ho utilizzato nella preparazione delle carote in agrodolce: purtroppo, o per fortuna, non riesco a raggiungere i livelli di lirismo espressi dagli intenditori, quindi per le poetiche immagini che solo un bicchiere di vino sembra saper ispirare, vi rimando a vostre ricerche personali in rete. Io di un vino, al massimo, posso dire: BUONO/NOBBUONO. Però, per quanto riguarda questo ottimo passito francese, mi piace sottolineare il fatto che debba la sua unicità, cosa che lo rende famoso ed apprezzato in tutto il Mondo, ad un umile fungo, proprio quello che solitamente si trova citato solo come una delle peggiori malattie della vite: il botrytis cinerea, ovvero la muffa grigia. E siccome il simpatico funghetto si assoggetta unicamente alle leggi di Madre Natura e si fa beffe delle esigenze umane, gli acini vengono attaccati in tempi diversi, obbligando gli umani a svariati passaggi tra le viti e a numerose vendemmie, in tempi diversi. E più si aspetta, più le vigne corrono il rischio di essere esposte ai danni provocati dal freddo, dal gelo, dalla pioggia e dalla grandine. Ovviamente la muffa grigia non e' la sola responsabile delle tanto apprezzate caratteristiche del dolce vinello: c'entrano anche il microclima dei 103 ettari di terra di Aquitania dedicati alla coltivazione delle uve e il fatto che il Sauternes venga fatto maturare e invecchiare in botti di costosissimo legno nuovo. Va da se' che, tra produzione limitata e difficoltà di vinificazione, il dolce nettare raggiunga costi anche molto elevati. 
Per fortuna "in loco" si trovano ottimi Sauternes non blasonati a costi accessibili, ma in mancanza si puo' sostituire con uno degli ottimi passiti italiani o anche, perchè no, con vino bianco secco e un cucchiaino di miele.

Tortine di carote 
con vinaigrette di carote in agrodolce
pinoli tostati e funghi


Ingredienti per 4 tortine:
per la pasta brisée:
250 g di farina 00
125 g di burro salato molto freddo
60 ml di acqua fredda

per il ripieno
250 g di carote
1 uovo
100 ml di panna acida
sale e pepe

per le carote in agrodolce
100 g di carote a dadini
100 ml di aceto di vino bianco
150 ml di Sauternes o altro vino bianco passito
2 foglie di salvia tritate
2 cucchiai di olio EVO
1 cucchiaio di pinoli tostati
sale e pepe

per i funghi
1 dozzina di funghi champignon castagna piccoli
1 cucchiaio di olio EVO
timo fresco
sale e pepe


Mettete la farina e il burro tagliato a cubetti nel bicchiere del mixer. Azionate la funzione pulse e frullate per pochi secondi, finchè si formeranno dei piccoli grumi. Con il mixer in funzione versate l'acqua a filo e frullate ancora per pochi secondi. Versate il composto sulla spianatoia e lavorate brevemente con le mani, solo il tempo necessario per raccogliere l'impasto in una palla. Schiacciatele fino a formare un disco di circa 3 cm di spessore, coprite con pellicola e mettete in frigorifero per almeno mezz'ora. Nel frattempo preparate il ripieni. Pelate le carote e tagliatele a rondelle spesse. Mettetele in una casseruola coperte da un dito d'acqua e fatele cuocere finchè quasi tutta l'acqua sarà stata assorbita, ma fate attenzione che ne resti a sufficienza per poterle frullare senza difficolta'. Una volta frullate le carote, aggiungete prima la panna, frullando finchè non sara' completamente amalgamata, e poi l'uovo leggermente sbattuto. Frullate ancora fino ad ottenere un composto omogeneo, salate e pepate a piacere e tenete da parte. 
Stendete la brisée ben fredda fino ad uno spessore di 3 mm e ritagliate dei dischi grandi a sufficienza per rivestire degli stampi per crostatine che avrete precedentemente imburrato. Coprite la pasta con carta da forno, riempite gli stampi di fagioli secchi e infornate in forno caldo a 200° per 15 minuti. Togliete i fagioli e la carta e cuocete ancora per altri 10 minuti.
Lasciate raffreddare i gusci di brisée per qualche minuto, poi riempiteli con il composto di carote. Infornate abbassando la temperatura a 175° e cuocete le tortine per 20 minuti.
Pulite i funghetti e tagliateli in 4. Scaldate l'olio in un padellino antiaderente e fateci rosolare i funghi per pochi minuti, insieme al timo fresco. Salate pepate e tenete in caldo. In una piccola casserruola, scaldate un cucchiaio di olio d'oliva e fateci rosolare le carote finchè saranno abbastanza tenere. Aggiungete la salvia e l'aceto di vino bianco e fatelo ridurre della metà. Aggiungete anche il vino dolce e fatelo ridurre di due terzi. Unite anche il rimanente cucchiaio di olio EVO e i pinoli tostati. Aggiustate di sale e pepe e tenete in caldo.
Sfornate le tortine, lasciatele raffreddare 10 minuti, poi sformatele e servitele accompagnate dai funghi e dalle carote in agrodolce. 


Anche questa ricetta partecipa al contest di ESSENZA IN CUCINA e My Taste for Food




sabato 24 novembre 2012

Crema di patate dolci e albicocche secche, con curry e sale rosso delle Hawaii



Le patate dolci che ho usato per questa crema sono quelle a pasta arancione, che in Italia non avevo mai visto. Un'altra di quelle cose che mi ha regalato l'Olanda e che mi consola, almeno in parte, per tutte le verdure alle quali ero abituata nella mia vita precedente e che qui non riesco a trovare. Hanno una polpa più compatta ed un gusto meno dolce rispetto alle patate americane a pasta bianca che trovavo in Italia. Anche l'idea delle albicocche secche l'ho "rubata" alla cucina olandese: qui vendono sacconi di frutta mista disidratata, che viene comunemente chiamata "tuttifrutti", e che contengono fette di mela, mezze pesche, spicchi di pera, prugne ed albicocche. Di solito si cuociono insieme alla carne, negli arrosti e negli stufati, ma era da un po' che avevo in mente di provarle nei passati di verdura. Il tema del contest di Cinzia e Valentina di questo mese, Bright Orange, ha fatto il resto: patate arancioni e albicocche. Ecco. E per mantenere il tema del colore, ho utilizzato il curry, dal bel colore giallo ocra, e il sale rosso delle Hawaii: giallo più rosso uguale arancione! Il sale marino rosso, nome originale Alaea Rouge, delle Hawaii è il tradizionale sale da tavola hawaiano. Il nome e il caratteristico color terracotta sono dovuti ad un'argilla rossa di origine vulcanica che durante l'essiccazione al sole arricchisce il sale di ferro, in un quantitativo 5 volte maggiore del sale normale. Io lo trovo al mercato, in un banco di spezie e condimenti da tutto il mondo, ma l'ho visto anche all'Esselunga.

Crema di patate dolci e albicocche secce
con curry e sale rosso


Ingredienti per 2
! patata dolce
1 piccola carota
1 piccola cipolla
1 gambo di sedano
10 albicocche secche
1 cucchiaino di curry
2 cucchiai di olio d'oliva
2 cucchiaini di panna acida
sale rosso delle Hawaii

In una casseruola fate soffriggere lentamente il sedano, la carota e la cipolla tritati finemente. Unite il curry e la patata dolce tagliata a cubetti. Aggiungete un pizzico di sale rosso e lasciate insaporire per un paio di minuti, mescolando spesso. Coprite le patate di acqua calda, fate prendere il bollore, coprite e lasciate cuocere a fuoco basso per circa 15 minuti o finche' le patate saranno morbide. Aggiungete anche le albicocche tagliate a pezzetti e proseguite la cottura per altri 15 minuti. Frullate il tutto con un frullatore ad immersione, aggiungendo a poco a poco altra acqua, se necessario. 
Passate il frullato da un colino a maglia non troppo fitta e riportate al fuoco. Al primo bollore, segnete e servite la crema ben calda, con un cucchiaino di panna acida, uno spicchi di albicocca e una spolveratina di sale rosso macinato fresco.
Se non trovate la panna acida, unite un cucchiaio di succo di limone filtrato a circa 100 ml di panna fresca, mescolate bene e lasciate riposare 10 minuti.

Con questa ricetta partecipo al contest Colors and Food, what else? del mese di Novembre



venerdì 23 novembre 2012

Gnocchi di zucca con le briciole e il burro alla cannella: presto, che è tardi!


Come sempre in zona cesarini, ma arrivo. Del resto partecipare al contest più colorato del web è troppo divertente e poi mi offre un nuovo punto di vista sul cibo. Già fare la spesa è tutta un'altra cosa. Inoltre, grazie al contest di Cinzia e Valentina, ho imparato che, siccome in natura nulla è lasciato al caso, esiste una relazione tra il colore dei cibi e le loro proprietà, compresi gli effetti benefici sul nostro organismo. Ad esempio, secondo la tradizione cinese, i cibi giallo-arancio hanno proprietà benefiche a carico di milza e stomaco. Migliorano la digestione e, nelle donne, influenzano la secrezione ormonale. Pare  anche che aumentino la capacità di concentrazione e la memoria...io dovrei mangiarne quintalate! I cibi arancioni, sono ricchi di beta-carotene, un precursore della vitamina A, che può avere effetti benefici a carico di pelle, occhi e capelli. Cum grano salis, mi raccomando! Come in tutte le cose, eccedere non fa mai bene. Ma noi non corriamo questo rischio, vero? Cinzia e Valentina hanno già pronto un nuovo colore per noi! Intanto godiamoci questi piatti meravigliosamente arancioni, che ci riportano un pò di calore e vivacità ad illuminare le grigie giornate di autunno.
Adoro la zucca in  ogni sua declinazione, dal dolce al salato, dall'antipasto al dessert. Però diciamoci la verità: gli gnocchi di sola zucca, senza il sostegno delle patate, non sono la cosa più facile di questo mondo da fare, giusto? Sbagliato! Con le magiche zucche Hokkaido, diventa facilissimo.


 Hanno una polpa così consistente, con un contenuto in acqua molto inferiore rispetto alle zucche nostrane, che fare gli gnocchi sarà un gioco da ragazzi, esattamente come per gli gnocchi di patate. Inoltre sono di dimensioni contenute, si possono acquistare intere e si conservano per molte settimane: basta tenerle al fresco e all'asciutto. L'unico difetto è che il sapore non è così marcato, ma può anche essere un pregio, soprattutto per chi trova stucchevole la dolcezza della zucca nei piatti salati. Un consiglio per eliminare la buccia: tagliate la piccola zucca in quattro spicchi ed eliminate semi e filamenti; sistematela in una teglia o in una pirofila da forno e coprite bene con un foglio di alluminio. Mettete la teglia nel forno spento, accendetelo e portatelo a 160°, lasciatelo in temperatura per 15 minuti, poi spegnete e lasciate raffreddare la zucca nel forno spento: a questo punto potrete togliere la buccia con un pelapatate o un coltellino affilato o addirittura raschiare via la polpa con un cucchiaio, con uno spreco minimo. 
Due parole le merita anche il burro alla cannella: faccio spesso il burro in casa, operazione semplicissima, soprattutto se se ne fa poco e lo si consuma subito. Mi piace anche aromatizzarlo con erbe e spezie, porzionarlo nelle vaschette per il ghiaccio e conservarlo in freezer, pronto all'occorrenza. Il burro alla cannella è fatto aggiungendo un pizzico di sale, una goccia di miele ed un pizzico di cannella in polvere, senza dosi, a seconda del vostro gusto. Ovviamente non c'e' bisogno che vi facciate il burro a partire dalla panna, potete realizzarlo anche con il burro che avete in frigorifero, lasciandolo ammorbidire a temperatura ambiente e unendo poi gli altri ingredienti. Potete utilizzarlo così, morbido a cucchiaiate, oppure rimetterlo in forma e tenerlo in frigorifero o in freezer fino al momento di utilizzarlo. La forma a stellina lo rende ideale per insaporire e decorare anche i piatti delle prossime festività, non trovate?

Gnocchi di zucca con le briciole
e il burro alla cannella



Ingredienti per 2
500 g di polpa di zucca Hokkaido cotta in forno
150/200 g di farina
1 uovo
1/2 cucchiaino di lievito per torte salate
sale e noce moscata a piacere
50 g di burro
2 cucchiai di pangrattato
1 cucchiaio di mandorle tostate e tritate
1 cucchiaio di pinoli tostati e tritati
stelline di burro alla cannella



In un padellino antiaderente fate sciogliere la metà del burro e tostateci il pangrattato, le mandorle e i pinoli, aggiustando di sale se necessario. Tenete da parte.
Frullate, o passate al passaverdure con disco a fori piccoli, la polpa di zucca: se non trovate la zucca hokkaido, mettete la polpa frullata in una padella antiaderente con una noce di burro, il sale e la noce moscata e fate evaporare l'acqua a fuoco basso e mescolando spesso. Lasciate raffreddare, poi trasferite la zucca in un contenitore, coprite e tenete in frigorifero per un paio d'ore o fino al giorno dopo.
Distribuite la farina sulla spianatoia, rovesciateci la polpa di zucca e allargatela un po' con le mani. Sbattete l'uovo con il lievito, il sale e la noce moscata, se non li avete già uniti prima alla polpa, e distribuiteli sulla zucca. Impastate con tocco leggero e solo per amalgamare gli ingredienti. Formate gli gnocchi come fareste per quelli di patate e cuoceteli pochi per volta in abbondante acqua bollente e salata. Scolateli non appena vengono a galla e trasferiteli in una capace padella antiaderente in cui avrete fatto sciogliere il resto del burro. Mescolateli delicatamente o, meglio ancora, fateli saltare piano e teneteli in caldo man mano che procedete alla cottura degli altri.
Divideteli nei piatti, spolverizzateli di pangrattato e sistemate su ognuno dei piatti un burrino alla cannella.

Buon appetito!

Con questa ricetta partecipo al contest Colors and Food, what else? del mese di novembre:
Bright Orange!




mercoledì 21 novembre 2012

Maramao perché sei morto: capitolo II

i 5 acri immaginati da John Seymour nel suo libro The complete book  of  Self-Sufficiency
Continua da qui
La mia fattoria autosufficiente, dunque: pannelli fotovoltaici costruiti in casa ( si’, si puo’!) e mini pale eoliche anch’esse autocostruite ( si puo’, si puo’...) garantiscono la fornitura di corrente elettrica; illuminazione a led per consumare di meno, sistemi di conservazione dei cibi che non richiedano freezer e frigoriferi succhia energia, lavatrice manuale ( c’e’, fidatevi). Camino, cucina a legna e rocket stove ( spiazzati eh?...andatevela a cercare su internet!) per scaldare. Vecchi termosifoni in alluminio, dipinti di nero e sistemati in cassoni coperti da un vetro posizionati in un punto costantemente soleggiato, un tetto rivolto a sud ad esempio, per l’acqua calda. In inverno possono essere integrati da un serbatoio, e da un sistema di pompaggio, che sfrutta il fuoco del camino. Cisterne per la raccolta di acqua piovana e vasche di fitodepurazione delle acque reflue.
Con due ettari di terreno si puo’ sfamare una famiglia di sei persone e produrre anche quasi tutto il foraggio necessario ad allevare animali per carne, latte, uova e che contemporaneamente concimino e “lavorino” i campi per conto nostro.  Due mucche Jersey per il latte, Rossella e la sua prima nata, un cavallo da lavoro, Parsifal, un bel frisone nero, grosso e lustro, che ci aiuta anche nel lavoro dei campi, qualche pecora e/o capra per latte e lana, galline, oche, anatre, conigli e maiali. Orrore!! Ti mangi i coniglietti che hai visto nascere? ...A meno che non siate vegani, nel qual caso mi scuso per aver urtato i vostri sentimenti e principi che rispetto profondamente, non accetto critiche da parte di chi acquista carne e salumi al supermercato. I miei animali saranno rispettati ed accuditi amorevolmente, allevati con sistemi il piu’ rispettosi possibile della loro natura, non saranno alimentati con mangimi industriali, chiusi in gabbia e poi stipati su camion rumorosi, puzzolenti e traballanti, per centinaia di chilometri, per essere portati al macello....Ovviamente sto ancora sognando. Nella realtà si vedrà. Attualmente non nutro grande fiducia nelle mie doti di killer...ma a latte e uova, sicuramente non  riuncio. Potrei avere anche un laghetto ed allevare qualche pesce, aironi e poiane permettendo... Api per il miele e qualche piantina di stevia per addolcire la dura vita del contadino. Una piccola vigna, che se l’uva non e’ buona per il vino ci si puo’ sempre fare dell’ottimo Pineau. Un pezzetto di bosco per far legna. E poi c’e’ quello che la natura offre gratuitamente: erbe e frutti selvatici, funghi...tartufi!...Magari alleverò  dei simpaticissimi Lagotti romagnoli. La cerca al tartufo ce l’hanno nel DNA e molto spesso non c’è nemmeno bisogno di addestrarli: nascono già “imparati”! Qualche gatto Isabelle, la razza locale: piccoli, a pelo semilungo, dolcissimi...com’era la mia Poubi...I gatti in campagna sanno come rendersi utili.
Un frutteto! Quello in parte c’e’ gia’: nove meli, cinque ciliegi, un pero, un susino, diversi noci e noccioli, tre fichi. L’anno prossimo peschi, albicocchi, altri susini e qualche melograno andranno ad aggiungersi alla lista. Ho gia’ in mente dove costruiro’ l’orangerie per coltivare qualche agrume. Le piante aromatiche, invece, le piantero’ nel quadratino di terra sul davanti della casa, proprio fuori dall’uscio di cucina, cosi’ le avro’ a portata di mano all’occorrenza, belle fresce appena raccolte. C’è già uno splendido, enorme cespuglio di alloro. L’orto ho deciso di farlo sul retro della casa, vicino ai due grandi pini: prendera’ sole quasi tutto il giorno e il gigantesco tiglio lo proteggera’ dai raggi cocenti del mezzodi’. Piantero’ anche una siepe per ripararlo dai venti di nord est e ci coltivero’ tutto quello che mi verra’ in mente, con un occhio di riguardo per le specie che danno i migliori risultati in questo clima e tipo di terreno. Non saranno ibridi dai frutti sterili, ma specie antiche delle quali conserverò i semi per piantarli l’anno successivo.  Sono affascinata dal metodo di Fukuoka, chiamato dal suo “inventore” Agricoltura del NON FARE: si zappa solo la prima volta, si seminano perenni autoseminanti, non si annaffia, non si erpica, non si potano gli alberi...si lascia fare alla natura, insomma. Pero’ mi sa che se non si vuole rischiare di ritrovarsi con il classico pugno di mosche, un po’ di fatica la si debba pur fare. Utilizzero’ comunque molto le consociazioni di ortaggi: in questo modo le piante si proteggono e si difendono a vicenda dagli attacchi dei parassiti. Piantero’ in mezzo agli ortaggi anche qualche fiore, come nasturzio e tagete, che hanno anche loro proprieta’ antiparassitarie ed allo stesso tempo attirano insetti benefici. Qualche pianta officinale ci vuole: equiseto e lavanda, ad esempio, danno decotti ottimi anche per il trattamento di alcune malattie delle piante. Anche l’ortica, ma di quella ce n’è già fin troppa! Sicuramente ci saranno piccoli frutti, specialmente quelli tipicamente coltivati in questa zona, come le fragole Charlotte, che sanno proprio di Fragolino...More, lamponi rossi e gialli, uva spina, ribes rossi e neri, mirtilli...Vorrei anche dei swiss chard, con le loro spettacolari enormi foglie verde scuro e le coste e le venature di ogni colore: giallo, rosso, bordeaux e viola. Il rabarbaro, altra pianta scenografica. L’amaranto, con i suoi meravigliosi fiori a grappolo rosso scuro... Non sarà solo un orto: sarà un giardino da mangiare prima con gli occhi e poi con la bocca. Il terreno e’ leggermente in pendenza e non e’ molto profondo. Realizzero’ dei terrazzamenti, ma non lineari e perpendicolari alla pendenza, proprio perche’ anche l’occhio vuole la sua parte: saranno semircicolari e alternati, a squama di pesce per capirci, e per trattenere il terreno utilizzero’ delle basse palizzate di rami di nocciolo intrecciati. Un po’ come si fa per i cesti di vimini: i piu’ grossi e dritti li piantero’ nel terreno a distanza regolare e saranno “la trama” mentre quelli piu’ lunghi e sottili li intessero’ a formare “l’ordito”... Per irrigare usero’ un sistema a goccia, cioe’ tubi con microfori che lasciano usire l’acqua  goccia a goccia: questo evita il compattamento e l’erosione del terreno...ed e’ molto piu’ comodo che annaffiare con la canna o l’annaffiatoio! Un’ accurata paccaimatura rallentera’ sia’ l’evaporazione dell’umidita’ che la crescita di erbe infestanti. Inoltre proteggera’ i frutti piu’ pesanti, come zucche, meloni e angurie, che appoggiano sul suolo, dal contatto diretto con la terra, che puo’ favorire la formazione di muffe. Bisognera’ tenere a bada anche lumache, grillotalpa, formiche e soprattutto talpe. Lo sapevate che inserendo un bastoncino nel foro di una tana di talpa e infilandoci una bottiglia , il rumore dell’aria nella bottiglia spaventa le talpe e le induce ad abbandonare la tana? Per le lumache basta un contenitore con della birra oppure un’asse leggermente sollevata dal terreno: loro ci si rintanano durante il giorno e a voi non resta che raccolgierle e darle alle anatre e alle galline, che sapranno cosa farne... Per le formiche pare che la polvere di diatomea sia una mano santa...per l’orto, voglio dire, non per le formiche...  e sembra che il grillotalpa non ami la cenere del camino oppure si può interrare a filo del terreno una  bottiglia di plastica con sul fondo qualche leccornia per grillotalpa: loro ci entrano e poi non riescono ad uscirne.  Invece non sarà facile tenere lontana dal mio orto la nutrita popolazione di conigli selvatici che attualmente abita nei paraggi...e i corvi...e i piccioni...Uno spaventapasseri con la faccia della Carlà e che canta pure le sue canzoni? Secondo me funziona!...vedremo...
Ci saranno anche due contenitori per il compost: uno per quello maturo da utilizzare e l’altro per quello che via via si formera’. Ovviamente evitero’ di gettarci scarti di origine animale, perchè la slamonella è sempre dietro l’angolo, ed anche bucce di agrumi, che aumenterebbero l’acidità del terreno. C’è anche un piccolo capanno per gli attrezzi: devo solo aspettare che le capre lo liberino dall’edera che lo ricopre quasi interamente. Le capre sono l’ideale per ripulire un terreno dalle piante indesiderate: mangiano tutto, anche quello che gli altri animali disdegnano. Bisogna solo trovare un sistema efficace per evitare che si mangino pure tutto l’orto e non è un’impresa facile! Le mie caprette saranno delle Mohair, che danno una lana soffice e morbidissima, adatta anche alle pelli più sensibili....

Continua....

Secondo capitolo per il contest Voglia di orto: Maramao perché sei morto? del blog Cook'n'book
in collaborazione con Il club delle cuoche


domenica 18 novembre 2012

se mi cercate, mi trovate qui


Lo so, lo so, sono sparita. Perdonatemi. Tornerò molto presto, ma nel frattempo chi sentisse la mia mancanza, si può consolare sfogliando le pagine di questa bella e nuovissima rivista, fortemente voluta da Meris e alla quale partecipano con i loro contributi numerose bravissime foodbloggers. A dire la verità io ancora mi sto chiedendo cosa ci faccio in mezzo a loro, ma se proprio non riuscite a trattenere la vostra curiosità nei confronti di usi e costumi olandesi e non vedevate l'ora che qualcuno ve li rivelasse dall'interno, Taste&More magazine potrebbe essere la risposta a tutte le vostre preghiere! E magari ci trovate pure un sacco di ricette originali e stuzzicanti e qualche utile consiglio per bere bene. Buona lettura! A presto.


venerdì 2 novembre 2012

MARAMAO PERCHE' SEI MORTO? capitolo I


Io non ce l’ho un orto. Ma come dicevi Sabi’? Dato che i sogni non costano nulla, tanto vale sognare in grande? Allora sai cosa ti dico io? L’orto e’ un sogno piccolo piccolo. Io sogno una fattoria! Non una fattoria qualunque, ma una fattoria autosufficiente. Non solo dal punto di vista alimentare, ma anche energetico. Vale a dire una fattoria che produca non solo cibo, ma anche energia elettrica e riscaldamento. Niente supermercato e niente bollette. E dove costruirò questa fattoria? A Thiviers, in Dordogna, nel Sud Ovest della Francia. Perche’ proprio là? Perche’ e’ là che abbiamo comprato la nostra casetta. Certo, quando abbiamo cominciato a sognare, la scelta e’ caduta inevitabilmente sulla Toscana. Poi siamo capitati per caso in Charente, altro splendido angolo di Francia, e ci siamo resi conto che l’offerta di vecchie case di campagna con grandi superfici di terreno era altissima ed i prezzi quasi un decimo di quelli che chiedevano in Toscana. Nel corso della ricerca della casa ideale, siamo scesi un po’ piu’ a sud, in Dordogna appunto, e finalmente l’abbiamo trovata: una piccola longere ( si chiamano cosi’ le vecchie case a pianta rettangolare allungata tipiche di queste zone) a due piani, in parte abitabile e con la possibilita’ di estendersi nell’annessa bergerie; un granaio anch’esso a due piani completamente da ristrutturare, ma con la bella struttura in pietra locale in perfette condizioni, travi comprese; un altro annesso, attualmente quasi diroccato ed adibito a legnaia, ma che “fa volume”. In totale quasi 300 mq di superficie abitativa e, cosa per noi piu’ importante, poco meno di due ettari di terreno. E per una cifra con la quale oggigiorno, in qualunque città italiana, compri forse un bilocale in zona periferica! La casa dei nostri sogni doveva avere altri due requisiti importanti: una bella vista e la prossimita’ ad un villaggio con qualche negozio. A dire la verita’ la vista non e’ proprio bella: di piu’! Un mare di colline che si inseguono fin dove lo sguardo puo’ spingersi. Niente coltivazioni intensive, solo pascoli destinati all’allevamento all’aperto delle belle vacche Limousin. Boschi decidui con qualche sempreverde, meravigliosi in autunno. Case di campagna in pietra perigordina, una bellissima arenaria color giallo chiaro, e tetti con la caratteristica forma leggermente concava, coperti di tegole piatte in terracotta o  ardesia   e interrotti in piu’ punti da piccoli abbaini. Le case piu’ antiche conservano le torrette quadrate, in cima alle quali, sotto gli appuntiti tetti a quattro falde,  si trovavano le colombaie. Un’altra particolarità che mi ha fatto innamorare a prima vista di questa casa, è che è situata sul cammino per San Giacomo di Compostela: i pellegrini che lo percorrono a piedi, in bicicletta e anche a cavallo, mi passano proprio sotto le finestre ed è sempre un piacere per me salutarli ed augurare loro buon viaggio.











Questo pezzetto di Paradiso Terrestre, dista solo 700 metri dal centro del paese di Thiviers, denominata “la Capitale del Foie Gras”, un grosso villaggio di circa 3.100 anime, con una bella chiesa, un piu’ che dignitoso castello  e  ogni genere di negozi e servizi. C’e’ anche un fantastico mercato, il sabato mattina , che per tutta l’estate raddoppia con l’appuntamento del martedi’ riservato ai produttori locali. Immagini e profumi che credevo dimenticati: quasi mi commuovo ogni volta che vedo banchi pieni di un unico prodotto, che siano meloni, fragole, pesche o pomodori, zucchine, lattuga e melanzane. Molto spesso patate, carote e rape hanno ancora la terra attaccata. C’e’ un banco di soli salami, dico proprio salami, non salumi! Quello con solo tre o quattro tipi di formaggio. Uno per la carne di maiale, il pregiato cul noire locale, e uno che vende solo anatre e oche. E poi ancora i vini della regione: Bordeaux, Bergerac, Monbazillac, Sauterne...per citarne solo alcuni. C’e’ una simpatica signora che vende le sue marmellate e un’altra che vende il pane a lievitazione naturale cotto nel forno a legna, prodotto con le sue farine biologiche! 

Thiviers. Il nome non dice nulla, ma se vi dicessi che l’aggettivo riferito al paese e’ thiberien, non vi suonerebbe un campanellino nella testa? Gia’, e’ proprio stato fondato dai soliti Romani, senza offesa Sabbi’!,  all’epoca dell’imperatore Tiberio. A dirla tutta, i Francesi, che ancora  ‘sta storia del de bello gallico mica l’hanno digerita, sostengono che il nome sia di origine celtica, ma  io preferisco la prima ipotesi. In ogni caso e’ assolutamente vero che qui prima dei Romani ci fossero i Galli e se pensate che far finire in X tutti i nomi dei personaggi del fumetto sia stata una trovata del suo autore, vi sbagliate di grosso! Qui intorno e’ pieno di paesi con nomi che finiscono in X : Firbeix, Videix, Couseix, Mavaleix ...Ma la regione era abitata anche in epoche molto piu’ antiche. Nei paraggi ci sono numerosi siti archeologici di epoca preistorica e a 50 km c’e’ la famosissima grotta di Lascaux, con i suoi meravigliosi dipinti rupestri che oggi e’ possibile ammirare solo riprodotti, dato che il sito originale e’ stato chiuso al pubblico per evitarne il deterioramento. Castelli e villaggi medioevali, meravigliosi giardini botanici, vigneti e cantine storiche e conosciute in tutto il mondo e le famose, pittoresche “bastides” della zona intorno a Bergerac, completano l’elenco delle “cose da vedere” quando si visita la Dordogna. Gli Inglesi la chiamano, in tono dispregiativo, Dordogneshire, a sottolinerare il numero davvero elevato di loro connazionali che l’hanno “invasa” negli ultimi decenni, alla continua ricerca del bel tempo e della joie de vivre francese e che, secondo alcuni,  rischiano di snaturare la regione importando abitudini, stile di vita e prodotti anglosassoni. Qui nel Perigord vert non sono tantissimi, pero’ c’e’ un buon numero di Olandesi...come sentirsi a casa per me! Ma cos’e’ sto Perigord vert? Non eri  in Dordogna? Adesso vi spiego: la Dordogna e’ un dipartimento dell’Aquitania, ed e’ a sua volta suddivisa in quattro zone denominate tutte Perigord. C’e’ il Perigord vert, con capitale Periguex, il Perigord blanc, che ha  Riberac come capitale, il Perigord rouge con Bergerac, che non c’entra niente col nasuto spadaccino/poeta, anche se tutta la zona pullula di souvenirs di Cirano e Roxane, e il Perigord noir la cui capitale è Sarlat. Verde per i pascoli, bianco per la pietra calcarea, rosso per il vino e nero per i fitti boschi. Nonostante facciano parte della stessa regione, queste quattro zone hanno sostanziali differenze tra loro, sia nel clima, che nella morfologia del territorio, che nell’architettura.

Dordogneshire...

La bastide di Eymet

La bastide di Issigeac

Lascaux

Hautfort


Il marché fermier a Thiviers




E ma insomma...e l’orto? ...la fattoria? Un momento!! Ci sto arrivando, quanta fretta!...Qui la fretta non esiste: lasciatela nelle vostre case di citta’, se decidete di farvi un giro da queste parti. C’e’ sempre tempo per fare due chiacchiere, prendere un caffe’ o un aperitvo con amici e conoscenti...Gli aperitivi...No no, questi meritano un capitolo a parte....
Continua.....

Questo e' solo il primo capitolo del post piu' lungo della storia del web con il quale partecipo al contest della mia carissima amica Sabina del blog Cook'n'book, in collaborazione con 
Il club delle cuoche